Internamento militare

La vicenda storica degli IMI ebbe ufficialmente inizio con l’8 settembre 1943. Non appena fu diffusa la notizia dell’armistizio italiano, i tedeschi misero in atto il loro piano. In breve tempo essi disarmarono gran parte delle forze armate dell’ex-alleato e in meno di un mese deportarono quasi tutti i militari catturati nei campi di internamento e di lavoro del Terzo Reich. Dopo la cattura, il viaggio verso le destinazioni di prigionia avvenne in condizioni disumane e durò anche più di due settimane. Gli uomini vennero ammassati sulle lunghe tradotte composte da carri bestiame chiusi dall’esterno. Le tradotte partite dall’Italia seguirono generalmente la via del Brennero o di Tarvisio e fecero tappa a Innsbruck, mentre quelle provenienti dalla Grecia e dall’Albania sostarono a Belgrado, dove si unirono ai treni partiti dalla Jugoslavia. Come hanno rilevato gli storici tedeschi Gerhard Schreiber e Gabriele Hammermann nelle loro fondamentali opere sugli IMI, vi fu una particolare efferatezza dei soldati germanici nei confronti degli ex alleati e molti degli ordini emanati da Hitler e dai vertici della Wehrmacht ebbero un vero e proprio carattere criminale. Lo stesso statuto di IMI, mai utilizzato prima, fu adottato su decisione di Hitler il 20 settembre 1943 e fu uno stratagemma per sottrarre gli italiani alla tutela della Convenzione di Ginevra del 1929, valida per i prigionieri di guerra, e per costringerli al lavoro manuale.

La storia degli IMI originari del Parmense è ancora tutta da scrivere. Riportiamo solamente una prima ricostruzione degli avvenimenti accaduti all’indomani dell’8 settembre a Parma, in attesa che la ricerca di storia locale già avviata possa permetterci, in un prossimo futuro, di ampliare le conoscenze relative a questo ambito storiografico.

All’indomani dell’8 settembre a Parma

La notte tra l’8 ed il 9 settembre 1943 lampi ed esplosioni di artiglieria squarciarono le tenebre in più punti della città, risvegliando bruscamente i parmigiani. Anche a Parma, dopo l’annuncio radiofonico dell’armistizio, era scattato il “piano Achse” predisposto dai comandi tedeschi per l’occupazione militare del territorio italiano. Unità del 1° Reggimento granatieri corazzati Leibstandarte SS Adolf Hitler, acquartierate già da diverse settimane nelle campagne tra Parma e Reggio Emilia, avevano aperto il fuoco contro le installazioni dell’esercito italiano. Le prime cannonate tedesche colpirono il Palazzo del governatore in Piazza Garibaldi, sede del Comando di presidio, causando una vittima tra i militari di guardia che risposero al fuoco. Intorno alle quattro del mattino vennero attaccate le caserme della Cittadella e della Pilotta, la sede delle Poste e telegrafi in Via Pisacane, la Scuola d’applicazione della fanteria nel Parco Ducale. Fu in questi ultimi due punti che i combattimenti si svolsero più aspri. Particolarmente intorno alla Scuola di applicazione dove gli ufficiali-allievi e i soldati dei servizi (poco più di duecento uomini in tutto, cinque i caduti) resistettero fino alle sette quando i tedeschi fecero irruzione. Quasi contemporaneamente si svolgeva l’ultimo episodio di resistenza ai tedeschi ad opera dei carristi del 433° Battaglione complementi carri M che, giunti da Fidenza coi loro blindati, ingaggiarono il combattimento nella zona compresa tra la Barriera Nino Bixio e Piazzale Marsala; anche qui l’artiglieria anticarro tedesca ebbe presto il sopravvento: sei i militari italiani caduti. La mattina del 9 la città era ormai pienamente sotto il controllo delle armi tedesche.

Il giorno 11, i circa 7.000 militari italiani catturati dai tedeschi e concentrati in Cittadella vennero trasferiti in camion a Mantova e di là in Germania.