Occupazione militare
8 settembre 1943: i tedeschi a Parma
La notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 lampi ed esplosioni d’artiglieria squarciarono le tenebre in più punti della città, risvegliando bruscamente i parmigiani. Anche a Parma, dopo l’annuncio radiofonico dell’armistizio, era scattato il “piano Achse” predisposto dai comandi tedeschi per l’occupazione militare del territorio italiano. Unità del 1° Reggimento granatieri corazzati Leibstandarte SS Adolf Hitler, acquartierate già da diverse settimane nelle campagne tra Parma e Reggio Emilia, avevano aperto il fuoco contro le installazioni dell’esercito italiano. Le prime cannonate tedesche colpirono il Palazzo del governatore in Piazza Garibaldi, sede del Comando di presidio, causando una vittima tra i militari di guardia che risposero al fuoco. Intorno alle quattro del mattino vennero attaccate le caserme della Cittadella e della Pilotta, la sede delle Poste e telegrafi in Via Pisacane, la Scuola d’applicazione della fanteria nel Palazzo Ducale. Fu in questi ultimi due punti che i combattimenti si svolsero più aspri. Particolarmente intorno alla Scuola di applicazione dove gli ufficiali-allievi e i soldati dei servizi (poco più di duecento uomini in tutto, cinque i caduti) resistettero fino alle sette quando i tedeschi fecero irruzione. Quasi contemporaneamente si svolgeva l’ultimo episodio di resistenza ai tedeschi ad opera dei carristi del 433° Battaglione complementi carri M che, giunti da Fidenza coi loro blindati, ingaggiarono il combattimento nella zona compresa tra Barriera N. Bixio e Piazzale Marsala; anche qui l’artiglieria anticarro tedesca ebbe presto il sopravvento: sei i militari italiani caduti. La mattina del 9, la città era ormai pienamente sotto il controllo delle armi tedesche. In provincia, reparti del 51° Corpo d’Armata di montagna avevano preso posizione nell’area da Fornovo fino al crinale appenninico, schierandosi a presidio dei principali valichi (Cisa, Bocco, Centro Croci) ed occupando i centri di Berceto e Borgotaro. A Fontanellato la mattina del 9, anticipando l’arrivo delle truppe tedesche, quasi 600 ufficiali britannici evasero dal campo di prigionia PG 49, con la complicità del comandante italiano che per questo venne poi deportato in Germania. Molti fuggiaschi, soccorsi e nascosti dalla popolazione locale, avrebbero successivamente raggiunto la Svizzera; altri sarebbero stati avviati verso l’Appennino, talvolta unendosi alle prime bande partigiane.
Tra il 9 e il 10 settembre fuggì anche una parte considerevole degli internati civili jugoslavi rinchiusi nel campo di concentramento di polizia del castello di Scipione (Salsomaggiore Terme) e dei “sudditi di paesi nemici” internati nel castello di Montechiarugolo.
Peggiore sorte toccò, invece, ai circa 7000 militari italiani che, catturati dai tedeschi e concentrati in Cittadella, dal giorno 11 furono trasferiti in camion a Mantova e di là in Germania.
In quei medesimi giorni si verificarono a Parma episodi di saccheggio da parte della popolazione affamata alle caserme abbandonate, ai magazzini del formaggio, ai depositi merci ferroviari. Ben poca cosa, tuttavia, se paragonati alla metodica opera di spoliazione condotta dalle SS che, oltre al bottino di guerra depredato negli impianti militari, si dedicarono alla razzia di vestiario e di derrate alimentari, alla requisizione di automobili e di biciclette. Il comando territoriale si stabilì in Piazza Garibaldi, nel Palazzo del governatore. Il comando presidiario delle SS fissò la sua sede nella caserma della Pilotta mentre il grosso dei reparti si acquartierava nel Parco ducale. Venne imposto il coprifuoco e l’obbligo di un permesso di circolazione per chi doveva viaggiare.
La città occupata
Emblematico della situazione in cui si venne a trovare la città fu l’incontro tra i nuovi padroni di Parma e il commissario prefettizio, che venne convocato presso il quartiere generale tedesco. Giunto all’altezza del “Ponte sulla via Caprera si sentì intimare dal Comandante, di cui è rimasto sconosciuto il nome, di rimanere al suo posto con la fiducia e le funzioni di Bürgermeister”. Il commissario accettò l’incarico senza esitazione in nome di un non meglio chiarito “interesse superiore della popolazione” e di un suo “dovere disciplinare inerente alla qualità e al grado di vice-prefetto vicario di Parma”.
Quelli che seguirono furono giorni di grande confusione e di grande incertezza. Le autorità comunali furono assediate dalle continue richieste di ogni genere provenienti dai diversi comandi tedeschi, amministrativi e militari, che si stavano insediando in città. Parma dovette sopportare non solo violenza e soprusi di ogni genere ma anche il peso economico-amministrativo che l’obbligo di “ospitalità” imponeva loro. Era una mera illusione o molto più semplicemente una giustificazione quella di poter “armonizzare le necessità delle Truppe Tedesche coi bisogni della popolazione”. Nonostante gli sforzi per legittimare le istituzioni civili locali, fu evidente a tutti che esse si apprestavano a ricoprire un ruolo di subordine ai comandi tedeschi. Ciò andò a tutto svantaggio degli enti locali e del neofascismo parmense, fortemente delegittimati dalla presenza e dal potere esercitato dai comandi germanici. Non fu quindi casuale che gli uffici tedeschi si trovassero sommersi da richieste e da suppliche di ogni genere provenienti dai cittadini schiacciati da oltre tre anni di guerra.
Mk 1008: il governo militare germanico
Il 21 ottobre i soldati e Panzer della I Divisione corazzata SS lasciavano definitivamente Parma, diretti alla volta dell’Ucraina. Ad essi subentrava l’autorità della Militärkommandantur 1008, la struttura di comando militare territoriale con giurisdizione sulle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, che era sul posto già dall’inizio del mese. Ad essa spettavano sia i compiti di controllo militare del territorio (svolti dal Kommandostab) che quelli relativi al funzionamento dell’amministrazione civile e annonaria (affidati al Militärverwaltungssstab). Gli uffici ed i servizi della Mk 1008 stabilirono le loro sedi in un’area residenziale della città delimitata all’incirca dai viali Martiri della Libertà, Rustici, San Martino, Duca Alessandro. All’interno di questa “cittadella tedesca” trovarono alloggio e uffici il Militärkommandant colonnello Hans Mühe, il comando della Mk 1008, la Gendarmeria militare (Feldgendarmerie) e il gruppo di Polizia militare segreta, il servizio del Ministero della propaganda. In Viale Martiri della Libertà le più belle ville furono trasformate in foresterie per ufficiali o per il personale militare femminile (infermiere e telegrafiste) e la Casa di cura Inzani venne adibita a clinica di convalescenza. Ai limiti del perimetro ebbero sede gli importanti uffici del Ministero degli armamenti e produzione bellica, mentre proprio al suo centro, nella fortezza della Cittadella, si acquartierarono alcune unità e servizi della Wermacht. Il comando piazza, retto dal capitano Dauwalter, si insediò invece nel Palazzo del governatore in Piazza Garibaldi, luogo simbolico del potere civico.
Il peso dell’occupazione militare, con la requisizione di alloggi in città e il conferimento forzato dei prodotti agricoli della campagna, cominciava a produrre i suoi effetti. Al Comune di Parma, retto da un commissario prefettizio nominato dai tedeschi, venne accollata la spesa per l’alloggio delle truppe della Wermacht, con conseguenze disastrose per il bilancio municipale.
La Repubblica sociale italiana
Il 12 settembre 1943 con l’operazione “Eiche”, la liberazione di Mussolini da Campo Imperatore sul massiccio del Gran Sasso ad opera di un commando di paracadutisti e del Sicherheitsdienst, prendeva avvio il progetto tedesco della restaurazione di uno Stato fascista nell’Italia occupata.
Prevalse la posizione del Reichsführer delle SS Himmler che caldeggiava la creazione di un regime collaborazionista, per l’insufficienza delle truppe di polizia necessarie a dominare il paese dell’ex alleato con la forza. Il 23 settembre, mentre Mussolini rientrava in Italia, venne diffuso il radiomessaggio con cui egli annunciava la nascita del nuovo “Stato repubblicano italiano” (in seguito Repubblica sociale italiana) e la ricostituzione della Milizia, impartendo a tutte le organizzazioni del partito (ribattezzato Partito fascista repubblicano) l’ordine di appoggiare l’esercito tedesco. Nei giorni seguenti anche a Parma si procedette a riorganizzare l’apparato periferico dello Stato. Il 21 settembre Antonio Valli, segretario federale fino al 25 luglio, aveva ripreso il suo posto e il 26 ottobre venne nominato Capo della provincia con funzioni di Prefetto. La federazione del Pfr si insediò dapprima nel Palazzo del governatore per poi trasferirsi in quello della borsa merci (Via G. Cavestro).
Nei locali di Palazzo Marchi, invece, trovò sede il Comando militare provinciale del nuovo esercito repubblicano. Ma alla fine di novembre il tenente colonnello comandante, in un suo rapporto, dichiarava l’impossibilità di equipaggiare le 520 reclute che avevano risposto alla chiamata alle armi. L’unica forza militare in qualche misura operativa era quella costituita da circa 400 Carabinieri presenti nella provincia; insieme con le formazioni della Milizia avrebbero dato vita alla Guardia nazionale repubblicana il cui comando provinciale si sarebbe stabilito a Palazzo Rangoni (Strada della Repubblica).
SD e Brigata nera
La militarizzazione del Pfr con la creazione delle Brigate nere, volute da Pavolini nel giugno 1944, fu l’estremo tentativo di reagire al fallimento del sistema di sicurezza della Rsi di fronte alla crescita della guerriglia partigiana, nel momento in cui il fascismo di Salò sembrava ormai prossimo al collasso. Anche a Parma si costituì la Bn “Virginio Gavazzoli” che ebbe sede nel palazzo dell’Università, in Via Giordano Cavestro, all'epoca via Walter Branchi, e che si sarebbe comportata con estrema brutalità nella lotta antipartigiana. I suoi militi si resero responsabili dell’eccidio compiuto in Piazza Garibaldi la notte del 1° settembre, quando sette patrioti furono seviziati e uccisi per rappresaglia in seguito all’attentato mortale compiuto dai Gap contro due brigatisti neri. Il segretario federale Pino Romualdi e il tenente della Bn Egisto Maestri vennero indicati dalla voce pubblica della città come mandanti dell’eccidio.
Tre giorni prima elementi della Bn avevano fucilato, sempre per rappresaglia, in Strada Montanara, tre prigionieri ed il 30 agosto avevano ucciso sul posto due residenti, fermati all’uscita di un’osteria in Via Abbeveratoia. Nel mese di luglio si trasferì a Parma anche il Comando distaccato della Polizia di sicurezza-SD (Sicherheitspolizei-Sicherheitsdienst) tedesca, diretto dal capitano delle SS Otto Alberti, che fino a giugno aveva operato a Firenze, distinguendosi nella caccia agli ebrei e nella persecuzione dei resistenti. La sede della SD, in Palazzo Rolli, divenne presto il luogo più temuto nella topografia del terrore della città occupata: nelle sue celle transitarono centinaia di partigiani e civili di Parma, Reggio Emilia, Piacenza, sottoposti a violenze e torture. Coadiuvata da una squadra della “Banda Carità” e da una fitta rete di spie e confidenti reclutati sul posto, la Polizia di sicurezza riuscì in pochi mesi ad individuare e in parte distruggere la rete clandestina della Resistenza operante in città e nella Bassa. Tutti i partigiani catturati e i prigionieri politici dovevano essere consegnati alla SD che ne decideva la sorte e l’eventuale deportazione nei lager in Germania.
I bombardamenti
L’avvicinarsi del fronte e l’arrivo della primavera 1944 portarono anche le incursioni dei bombardieri alleati. La notte del 23 aprile, durante il primo raid aereo sulla città, morirono 15 militari della Scuola d’applicazione di fanteria e due giorni dopo i bombardieri alleati colpirono il centro storico e l’Oltretorrente (130 morti). Il comando tedesco lamentò che “l’oscuramento era del tutto insufficiente e parecchie finestre e perfino specole di abbaini furono lasciate illuminate a giorno durante e dopo il bombardamento”.
Pressanti richieste furono rivolte al Comune perché mettesse a disposizione dei tedeschi sedi più sicure fuori dalla zona urbana. Il 2 maggio venne centrato un rifugio antiaereo al Cornocchio (150 vittime). Il 13 la città fu di nuovo bombardata e vennero colpiti monumenti storici importanti come il complesso della Pilotta e il monumento a Verdi; anche un’ala del carcere di San Francesco fu distrutta (50 vittime).
Nel medesimo giorno un’identica sorte toccò a Fidenza con gravi perdite umane (113 persone). Il 17 maggio venne bombardato per la prima volta il centro di Borgotaro, che avrebbe avuto 15 vittime tra gli abitanti durante l’incursione del 5 giugno. Il 6 giugno toccò a Fornovo Taro, importante nodo ferroviario e stradale oltre che sede di una raffineria petrolifera, che subì la prima di 206 incursioni, complessivamente con un limitato numero di perdite umane. Nel mese di luglio vennero bombardati i centri di Ghiare di Berceto, Sala Baganza, Collecchio e la polveriera di Ponte Scodogna con numerose vittime civili. Il 12 novembre a Sant’Andrea Bagni aerei alleati attaccarono la sede dove era alloggiato il comandante delle forze germaniche in Italia, Kesselring. Una settimana dopo Collecchio venne nuovamente bombardato (14 morti) e il 20 toccò a Busseto (1 vittima). Durante l’incursione su Parma del 15 dicembre morirono 5 persone. Il 23 gennaio 1945 Terenzo subì un attacco che causò 7 vittime.
Nel febbraio mitragliamenti aerei su Parma e provincia provocarono diversi morti (24 a Felino); Colorno venne colpito il 20 marzo (3 uccisi); il 30 Costamezzana (5 morti) e il 1° aprile venne bombardato Busseto con numerose vittime. Nei primi 20 giorni di aprile tutta la zona rivierasca del Po fu sottoposta a ripetuti bombardamenti che colpirono la popolazione civile e i soldati tedeschi in ritirata, provocando un alto numero di morti. L’ultimo attacco su Collecchio avvenne il 17 marzo (9 morti) e fino alla vigilia della liberazione si susseguirono su Parma le incursioni con le due ultime vittime nella giornata del 25 aprile.
Il movimento clandestino in città
Fra CLN, Comando Militare di Piazza e comandi di montagna corse un flusso ininterrotto di rapporti: messaggi, comunicazioni, informazioni, segnalazioni su persone sospette che si trasferivano in montagna, invio di documenti falsi e molto altro ancora. Dietro a tutto questo stava un lavoro organizzativo e pratico che chiamava all’opera centinaia di persone; stavano le staffette che dovevano attraversare più punti di obbligato passaggio controllati dal nemico. Stavano le tipografie, ove uomini di fede svolgevano il lavoro clandestino dei volantini di propaganda, dei giornali segreti, dei documenti falsi. Stavano gli operai della Timo, la compagnia dei telefoni, che passavano informazioni preziose. Infine centinaia di informatori che erano inseriti spesso con regolare rapporto di lavoro (impiegati, soldati, suttouffiali, ufficiali) nei più importanti centri e comandi tedeschi e fascisti, negli uffici politici e amministrativi.
Da essi si irradiava una continua corrente di notizie sugli arrivi e sugli spostamenti di reparti, sui progetti di rastrellamenti e puntate, sulla dislocazione delle forze e su quanto potesse aiutare i comandi a configurarsi un quadro esatto e sempre aggiornato della situazione nemica. Un’attività cospirativa legata a luoghi segreti, parole d’ordine, case di latitanza, incontri fugaci, azioni militari; segnata dalle retate della polizia, dai controlli sempre più stretti, dal coprifuoco, dalle fucilazioni per rappresaglia.
La Liberazione
I partigiani e le truppe alleate fecero il loro ingresso a Parma la mattina del 26 aprile. La notte precedente gli ultimi reparti militari tedeschi, con i fascisti ancora presenti in città, avevano abbandonato Parma, lasciando dietro di sé piccoli nuclei di franchi tiratori, appostati su alcuni edifici, allo scopo di ostacolare, in qualche modo, l’azione dei reparti partigiani.
Sulla città, senza pane da due giorni e priva di corrente elettrica dal pomeriggio del giorno 25, pendeva il pericolo di possibili sabotaggi da parte dei tedeschi in ritirata. L’intervento degli uomini della Resistenza a protezione dei centri erogatori di servizi strategici risultò provvidenziale e la minaccia scongiurata. L’eccitazione per l’imminente ingresso delle truppe alleate, così sosteneva Radio Londra, appariva prevalente sui timori, che pure esistevano, di una possibile ultima battaglia fra le truppe tedesche in ritirata verso nord e le forze alleate in avanzamento lungo la via Emilia. Fu in questo clima carico di tensione che il giorno 23, l’esplosione di un carro ferroviario carico di esplosivo, fermo sui binari della stazione, provocava, per un attimo, il panico tra la popolazione.
Nel pomeriggio fece la sua comparsa in piazza Garibaldi un’avanguardia del contingente alleato. Il giorno seguente, nell’Oltretorrente, si sparse la voce che gli Alleati erano alle porte della città e il movimento clandestino, da tempo radicato nel quartiere, si rese visibile dando vita alla Brigata “Parma Vecchia” che guidò l’insurrezione e la liberazione del quartiere prima dell’arrivo delle truppe alleate e dei reparti partigiani. In giornata l’intero Oltretorrente venne isolato dal resto della città. Barricate erano state innalzate alle teste di tutti i borghi e la Brigata “Parma Vecchia” aveva installato il proprio comando nella sede della società “Giovane Italia” nel cuore del quartiere. Nel corso della giornata i partigiani fecero numerosi prigionieri e resero assai difficile l’uscita dal lato ovest, verso Milano, per tedeschi e fascisti in fuga. Nel frattempo, i fascisti, prima di partire diedero alle fiamme gran parte dell’archivio della federazione repubblicana. Ma i pericoli maggiori giungevano dalla battaglia decisiva che si stava combattendo alle porte del centro urbano e verso l’Appennino. La sera, a Casaltone, nel comune di Sorbolo, soldati tedeschi in ritirata uccidevano 22 civili in quello che fu l’ultimo di una serie di eccidi che insanguinarono anche il Parmense.
I reparti partigiani scesi verso la pianura, seguendo il piano insurrezionale predisposto dai loro comandi, dilagarono nei comuni a nord della via Emilia, rendendo il ripiegamento tedesco assai difficile. Le missioni alleate, intanto, avevano informato i comandi militari, oltre le linee, che un nuovo pericolo incombeva sulla città: la possibilità che i reparti tedeschi affluiti disordinatamente verso il fiume Po, impossibilitati ad attraversarlo, decidessero di ripiegare su Parma, congiungendosi con i resti della 148.a Divisione di fanteria, della 90.a Divisione Panzer Grenadieren, oltre che con quelli della Divisione “Italia”, e decidendo di effettuare un ultimo tentativo di resistenza. Il pericolo fu sventato grazie al repentino intervento dei partigiani e dei reparti del Corpo di spedizione brasiliano nell’operazione militare nota con il nome di “Sacca di Fornovo”.
In città, negli stessi giorni, Giacomo Ferrari, “Arta”, comandante unico delle formazioni partigiane, veniva nominato prefetto. In base al piano insurrezionale, il centro urbano venne diviso in settori, ognuno dei quali di competenza dei diversi reparti. I gruppi di cecchini ancora presenti ingaggiarono diverse sparatorie con i resistenti prima di essere annientati. Nel frattempo, una ininterrotta colonna di mezzi militari alleati transitava per Parma diretta verso Milano.
Nel corso dell’insurrezione, la città non subì gravi danni. Parma fu presto in festa mentre procedevano i rastrellamenti dei fascisti e dei collaborazionisti rimasti, attività che proseguì anche nei giorni successivi. Il 27 aprile 1945, il commissario provinciale del Governo alleato militare, Magg. Burns, giunse a Parma con l’incarico di garantire il governo della provincia fino al 4 agosto quando l’Emilia sarebbe stata restituita alle autorità italiane.