Maddalena Madureri nacque a Vairo, frazione del comune di Palanzano, il 28 maggio 1908, da Pasquale Madureri e Marianna Conti.
Fu la prima di sei figli: dopo di lei, nel 1910, venne al mondo Natale, nel 1912 Teodolinda, a seguire, nel 1915 Maria, nel 1920 Lina e infine Francesco, nel 1927.
Una numerosa famiglia contadina, in cui il padre era spesso via per lavoro, anche per lunghi periodi. E così i figli, e poi i nipoti – come Maria Pia Sgonichi, figlia di Tedolinda, la nostra principale fonte – , crebbero avendo come punto di riferimento Marianna, energica mater familias, punto di riferimento e dispensatrice di consigli di vita, pur essendo analfabeta, come molte delle donne di quei tempi.
Maddalena frequentò la scuola elementare, probabilmente a Palanzano; come succedeva allora, specie nelle famiglie numerose e prive di mezzi, e in modo particolare quando si trattava di bambine, non proseguì gli studi.
Da ragazza, sempre seguendo una prassi diffusa per tutta la prima metà del Novecento nelle zone montane, lasciò il paese per trasferirsi in città: “andar per serva” si diceva. E Maddalena non fece eccezione: andò come domestica a Milano, a casa di una famiglia benestante, a sbrigare quelle faccende che aveva imparato a svolgere precocemente a casa propria, in qualità di figlia maggiore, investita, da subito, di un ruolo di responsabilità genitoriale nei confronti dei fratelli più piccoli, Maria, Lina e Francesco, assieme alla madre e a volte anche da sola, visto che Marianna lavorava nei campi e Pasquale era spesso all'estero – si recò anche in Corsica – per lavoro.
Di questa esperienza, come domestica e bambinaia a Milano, la giovane Maddalena, dotata di un'intelligenza vivace, curiosa e aperta alle novità, fece tesoro: si può presumere che sia stata per lei un'occasione di ampliare i propri orizzonti e rafforzare la sua indole indipendente e anticonformista. Non sappiamo se la permanenza in città sia stata formativa anche dal punto di vista culturale o politico, quel che è certo è che Maddalena, riuscendo a mettere da parte qualcosa, fu la prima a portare a Vairo una radio, la radio “Marelli”, “un cassone” secondo la definizione della nipote Mariapia.
E forse anche la radio contribuì alla maturazione di una embrionale coscienza politica, proprio negli anni dell'ascesa del fascismo, anche se probabilmente l'antifascismo di Maddalena, condiviso all'interno della famiglia, fu più legato a un'istintiva avversione allo status quo, alla miseria e alla subalternità della propria condizione sociale.
Quando rientrò al paese da Milano, Maddalena ricominciò ad occuparsi direttamente della famiglia, assieme alla madre e al fratello maggiore Natale, il quale però, lavorando come minatore, era spesso via, così come il padre Pasquale.
Perciò il sostentamento quotidiano della famiglia dipendeva dalle due donne, che si suddivisero i compiti in maniera piuttosto netta: Marianna si occupava delle incombenze extradomestiche, vale a dire dei campi e degli orti, Maddalena di quelle domestiche.
Con il tempo la famiglia d'origine si ampliò per includere anche i nipoti, come Mariapia, figlia di Teodolinda, nata a Milano durante la seconda guerra mondiale, nel 1941, la quale, molto piccola, sfollò con i genitori a Vairo. Il nuovo nucleo familiare viveva al secondo piano di una a casa situata nel centro dell'abitato, che al piano inferiore ospitava la scuola: l'edificio era in una posizione dominante che dava la possibilità di controllare l'arrivo dei tedeschi e dare l'allarme suonando le campane.
“E quindi i tedeschi – ha raccontato Mariapia – li volevano fucilare perché davano l'allarme quando arrivavano. Ma c'ero io, che ero un po' il bambolotto della famiglia: mi chiamavano 'la tedesca' per via dei miei occhi azzurri e dei capelli biondi. Dicevano che mia nonna mi prendeva in braccio, andava giù in cortile e confondeva i tedeschi, con me in braccio, caramelle, cioccolato e zucchero. 'Ah sei dei nostri! Sei bella!'”.
E fu proprio durante la guerra e l'occupazione tedesca che le due donne di casa Madureri invertirono, per così dire, i ruoli: mentre mamma Marianna presidiava la casa, ingegnandosi a confondere i soldati tedeschi, la più giovane Maddalena cominciò a ritagliarsi spazi d'azione in ambito extradomestico, inserendosi progressivamente nella lotta di Liberazione, dapprima con un ruolo di cura e supporto ai gruppi di soldati sbandati dopo l'8 settembre 1943, divenuti poi partigiani; quindi come collaboratrice di ufficiali inglesi della RAF, fuggiti dal campo di prigionia di Fontanellato, a partire dal mese di novembre '43.
Divenne quindi staffetta all'interno del Distaccamento Zinelli, comandato da Gianni di Mattei “Juan”, poi inquadrato, assieme al Don Pasquino, al Nadotti e al Cavestro, nella 47^ Brigata Garibaldi (30 luglio 1944) e infine, dal dicembre 1944, come informatrice del maggiore Holland, in qualità di infiltrata a Collagna (RE), nell'albergo Posta, dove era alloggiato un grosso contingente della Wehrmacht.
Maddalena Madureri, quando decise di prendere parte alla Resistenza, non era più una ragazzina: aveva circa 35 anni, era abituata alla fatica quotidiana di cavarsela, facendo fronte prima alla miseria e poi anche alla guerra, ed era abituata a farlo autonomamente: infatti, cosa singolare per l'epoca, non era sposata.
Iniziò a supportare la Resistenza dapprima con il ruolo di cura, provvedendo alle necessità dei soldati sbandati che iniziavano a formare le prime bande partigiane all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre, come aveva fatto con i suoi fratelli minori e poi come bambinaia a Milano.
Ma non si limitò a questo: nonostante non sapesse parlare inglese, divenne collaboratrice anche degli ufficiali della Royal Air Force, grazie al proprio senso pratico, alle capacità logistiche e organizzative, alla conoscenza del territorio.
Furono queste competenze, unite alla libertà di movimento che l'essere donna – e quindi meno sospetta di un uomo – le consentiva, a permetterle di diventare prima staffetta di un distaccamento partigiano (e probabilmente anche partigiana combattente), poi informatrice e infiltrata, sempre al fianco della missione inglese.
Il coraggio, la forza e il sangue freddo, invece, furono le qualità che le consentirono di salvarsi, anche nelle situazioni più critiche.
Come quella volta che, durante il rastrellamento tedesco dell'estate del '44, un drappello di soldati nazisti, accompagnati da uomini della brigata nera, giunse a Vairo per cercarla e, nel centro del paese, si imbatté proprio in lei, che ebbe la prontezza di dire di aver visto Maddalena pochi minuti prima fuggire verso il bosco. Enzo Capacchi, rievocando l'episodio, ha ricordato: “Lei è andata su, l’andava cme ‘na levra [andava come una lepre]. Lei faceva la staffetta. Dopo forse cinquant’anni, le ho detto: «Dove ti sei fermata?». «Me n’ho gnan vist la strada, em son anda’ a loga’ drent a un cazlar a Nevian [Io non ho neanche visto la strada, mi sono andata a nascondere in un casolare a Neviano]».”
La sua prontezza la salvò anche quella volta che, dopo essere scesa a Parma a piedi per fare rifornimento di medicinali, arrivata a Cascinapiano con lo zaino pieno, venne affiancata da una camionetta di tedeschi: in un primo momento pensò che fosse la fine e poi invece – come ha ricordato Nadia Pini – ebbe l'idea di fermarli e di chiedere un passaggio: “È salita, si è tolta lo zaino, gliel'ha passato e loro hanno caricato lo zaino senza neanche controllare. Che coraggio e che prontezza di riflessi!”.
Nemmeno l'amore per Gianni di Mattei “Juan”, comandante del distaccamento Zinelli della 47^ brigata Garibaldi, giunto in montagna dopo essere fuggito, durante un bombardamento aereo, dal carcere di Parma (dove era detenuto per omicidio a scopo di rapina), processato e condannato dai suoi stessi compagni nell'ottobre del '44 per abbandono della posizione e sobillazione contro il Comando di brigata, poté cambiare i tratti di fondo della sua personalità.
Il comandante Juan ebbe sicuramente un ruolo importante nella vita di Maddalena, fu forse l'unico uomo che seppe tenerle testa. E tuttavia nemmeno il dolore per la sua morte poté fermarla, anzi le diede occasione di mostrare una volta di più il proprio coraggio e la propria tenerezza, quando, assieme a Sergio Dalla Tana “Mario”, disseppellì il cadavere del proprio uomo e lo trasportò in un luogo sconosciuto dove la salma ricevette la benedizione.
Dopo la morte di Juan, Maddalena si allontanò da Vairo, fu infiltrata nel reggiano a Collagna, nell'albergo Posta, dove era alloggiato un grosso contingente della Wehrmacht, e continuò a fornire il suo prezioso apporto alla lotta di Liberazione fornendo informazioni al maggiore Holland.
Nel dopoguerra, come ha ricordato la nipote Mariapia, Maddalena Madureri era sempre presente alle manifestazioni e agli eventi legati al 25 aprile, era andata anche nelle scuole a raccontare la propria esperienza. E si era sposata, con Nino Porzio, stabilendosi con lui a Milano, rimase vedova nel 1954; da anziana fece ritorno a Vairo.
In paese era per tutti una donna dal carattere molto forte, decisa, con le idee molto chiare, ma anche parecchio riservata, che parlava della propria esperienza nella Resistenza solo in certe occasioni. “Quando ho visto la foto di Juan sul suo comò – ha detto la vicina di casa Nadia Pini – e le ho chiesto notizie, mi ha dato il libro 'Dal Ventasso al Fuso' e mi ha detto: 'Leggi, lì c'è scritto tutto', lei non ha voluto raccontare niente. In paese non tutti l'apprezzavano, le davano anche della poco di buono come tutte le donne che andavano in montagna con tanti uomini, però per quel che ne so io riusciva altamente a fregarsene. Nulla la scalfiva”.
“Maddalena – conferma anche la nipote Mariapia – era una donna forte, autonoma, senza ombra di dubbio. C’era chi la amava e chi la odiava. Non aveva paura di niente, era previdente, sapeva captare il pericolo e sapeva anche sdrammatizzare, aveva la capacità di andare oltre, di rendere leggera una situazione pesante. Aveva grande forza di volontà, perseveranza, coraggio”.
Anche Enzo Capacchi, figlio del falegname di Vairo, conferma il quadro tracciato dalle altre testimonianze e individua nella madre Marianna il modello di riferimento: “Era piena di coraggio – sostiene Capacchi – . Maddalena l’era una libra [era una libera]! Una ch’ la ‘s cavava ‘l mosch dal naz [che si toglieva le mosche dal naso]! Era così di natura, era una donna libera. Se uno aveva bisogno lo aiutava. Sì, la Marianna [Marianna Conti] era una di polso. Il babbo [Pasquale Madureri] non era mica così. Maddalena la ’n schersava mija tant [non scherzava mica tanto], quello che aveva da dire lo diceva. Era coraggiosa. Per me era una brava donna”.
Durante l'attività partigiana Maddalena incarnò molteplici ruoli, mettendo a disposizione la propria casa a Vairo Superiore come luogo d'avvistamento dei nemici e base per nascondere/rifocillare/curare chi, nel fronte opposto, ne aveva bisogno; battendo strade, sentieri, boschi e mulattiere per controllare, avvisare, recapitare messaggi, ordini, viveri, farmaci, armi; tenendo testa a chiunque le fosse d'ostacolo, sapendo dosare, con sapienza contadina, finzione, forza e furbizia; in una parola rovesciando il modello della retorica fascista (e non solo) a proposito della figura femminile che doveva essere passiva e remissiva, angelo del focolare e crocerossina, a disposizione del controllo maschile.
Maddalena visse la propria vita, e in particolare l'esperienza resistenziale, sottraendosi a qualsiasi tipo di controllo, a disposizione unicamente del proprio desiderio di libertà.
Morì a Vairo il 30 settembre 1996.